Multa paucis – molte cose in poche parole
La nuova raccolta di poesie di Margherita Neri Novi dal lungimirante titolo “Sicilia scapiddata” potrebbe a buon diritto rappresentare un corollario alle due sue opere precedenti che hanno visto la luce alcuni anni fa: “La me terra” e “Terra niura”.
Opere, queste due ultime, nelle quali il traboccante palpabile sentimento d’amore speso dall’Autrice verso la propria terra é turbato dall’amara constatazione che ancora oggi, purtroppo, i costumi che regolano il rapporto fra i sessi, retaggio delle usanze e delle convinzioni dei molteplici popoli che in essa si sono avvicendati ed insediati da tempi immemorabili, per quanto innovati dalle conquiste sociali che in tempi recenti sono avvenute nel settore, permangono quasi del tutto sostanzialmente invariati; e ciò, bisogna pur ammetterlo, in una società culturalmente avanzata e per certi aspetti estroversa.
“Terra niura” insegna.
Ciò connota un habitat problematico immerso in una dimensione non più in sintonìa con l’evoluzione dell’attuale evo moderno.
Il titolo della silloge, “Sicilia scapiddata”, si presenta come un emblema, figura allegorica, simbolo rappresentativo di una interiorità incombente pronta a tracimare valicando, impetuosa, gli argini di comportamentali inculcate concettualità, da cui emana, rendendolo immediatamente fruibile, percepibile, tangibile, il costante trasporto della poetessa verso i profondi stimoli creativi che scaturiscono, irrefrenabili, dall’attenta e partecipe osservazione del sociale circostante (nel caso in ispecie isolano); atteggiamento , questo, che trova corpo e sostanza negli intessuti e profondi affetti familiari e non ed anche nei dolci ricordi d’una infanzia serena vissuta nel clima patriarcale della indimenticabile casa avita.
Tutte e tre questi testi, i due prima pubblicati e l’attuale, redatti in puro vernacolo siciliano, quasi a voler ostentare un’appartenenza viscerale ad un ambiente indomito in cui l’asperità del paesaggio, a tratti arido ed assolato ed a tratti umido e lussureggiante in simbiosi con la splendida naturale bellezza che emana dai suoi monti, dalle sue valli, dalle sue pianure, dal suo cielo, dal suo mare, dai suoi torrenti, fiumi e polle d’acqua, immagini in costante contrasto con la crudezza del clima a volte sereno ed armonioso ed a volte bizzarro, pare vogliano invogliare le più riposte pulsioni letterarie dell’Autrice ad un continuo appassionante esternarsi.
Sembrerebbe una ricerca di distensione tramite uno sfogo. Una terapia intellettuale che regola il sentimento.
Ho conosciuto Margherita Neri Novi nel 2008 in occasione di un convegno della FIDAPA al Mandralisca; e su di lei ho avuto modo di scrivere già ben due volte in relazione alle due prime raccolte presentate e di cui sopra: sul Blog “qualecefalu” per “La me terra” nell’Aprile del 2015 con il mio articolo dal titolo “Egloga” pubblicato in contemporanea anche su “Il Giornale del Mediterraneo” di Palermo”, e nel Maggio dello stesso anno per “Terra niura”, con altro articolo dal titolo “Ab imo pectore”, pure uscito su entrambi i telematici fogli.
Questa è la terza volta, quindi, che mi accingo, con qualche giustificabile precauzione (vorrei evitare di ripetermi, attesi i miei pregressi interventi), ad indagare ulteriormente sulla dimensione umana e poetica di un personaggio dalle molte emblematiche sfaccettature che dell’anima sua ha fatto capitale lirico, nonché ribalta carismatica da cui esprimere se stesso attraverso il pullulare delle proprie molteplici sensazioni; moti dell’animo che, per i propri valori culturali e per la spiccata capacità di esternare il magma delle contenute emozioni da cui promanano, rappresentano il karman ineludibile di una donna dal tratto sensibile in cerca del suo ambìto nirvana; valore non presunto, questo, ma consolidato, che, come ho detto altrove, “…porta l’Autrice all’arte attraverso la mediazione di un lirismo sofferto e profondamente sentito..”
L’ “Io” della nostra Margherita, nel processo di maturazione rimasto tuttavia verginalmente giovane ed attento alle piccole cose della quotidianità, profondamente partecipe ai più sinceri slanci affettivi, ai più veridici stimoli intellettivi, non è mutato nel tempo; ha raffinato la propria linfa rendendo più stabili e profonde le intime pulsioni che poi, tracimando, vengono trasfuse ed esternate nella sua poetica; dimensione spirituale, questa, intesa come evasione, sfogo, liberazione, affrancazione dalle costrizioni del cuore e della mente.
La sua valenza letteraria? La validità delle sue evocazioni oniriche? Del suo precipuo rapportarsi al passato, traendone emozioni e iridescenti rimembranze?
Basterebbero i molti prestigiosi premi dalla Nostra conseguiti in accreditati plurimi concorsi nazionali, meritati a pieno titolo e ripetuti nel tempo, a connotare l’importanza del suo raffinato lirismo.
In quest’ultimo libro, “Sicilia scapiddata”, Margherita Neri Novi raccoglie le fila della sua essenza di figlia, di donna, di moglie, di madre e d’artista; stigmatizza le peculiarità del suo particolare modo di vedere la realtà circostante da cui le provengono le pulsioni che si tramutano, poi, in impulsi creativi che raggiungono l’apice di una espressività spontanea ma controllata, di una tensione contenuta e sofferta (tensione che salta fuori, vivissima, dal fluttuante verso che, vivace, l’avvince e la prostra allo stesso tempo), di un afflato costante e rigeneratore che si manifesta, consistente, inondando l’esistenza dell’Autrice, trascorsa fra domestici affetti e casti desideri, fra riflessive accettazioni e lungimiranti aspirazioni, fra dolori e speranze, d’una luce nuova che determina in lei una comprensione più riflessiva e pacata, più rivolta ad una maggiore considerazione dell’altrui, nonché la rassegnata accettazione degli accadimenti esistenziali da cui è difficile, per non dire impossibile, prescindere; il che inevitabilmente le consente un intimo e ripagante più approfondito esame di coscienza che la gratifica e la turba, che l’atterra e la suscita e che sgorga, poi, purificato e prorompente, dai suoi stessi sentiti vernacolari versi destando proficue emozioni.
La Neri ribadisce, proprio nella prima poesìa, lirica che dà anche il nome all’intera silloge, il suo sviscerato amore che la lega a questa sua terra baciata dal sole e dal mare, ma così avvilita e martoriata perché carca di mali sociali e d’affanni, straziata da ataviche lotte intestine ed insanguinata da inestinte crudeltà.
Così, infatti, la Nostra declama: “…Sicilia bedda, tutta scapiddata…(il verso da me adesso riportato in lingua per una sua più immediata maggiore comprensione)… come granello di sabbia vorrei piano piano scivolare nelle tue viscere, baciare, carezzare, lisciare e pettinare i tuoi capelli neri e lucenti, ridare brillantezza, splendore e sfavillìo, aprire cuore e braccia alla speranza…”
E poi, ne “Il gomitolo”: “…Ricogghi i fila di la vita / cunsunti e sdillaniati di lu tempu, / cutuliati comu ciuri ò ventu, / sbattuti comu varca a la strania…”, continuamente riandando col pensiero al bel tempo che fu, alle sensazioni della sua prima giovinezza, quando ancora la speranza tingeva di rosa l’avvenire ed il pensiero dei momenti negativi veniva annullato dalla gioia inconsapevole dell’esistenza.
E, ancora, l’assillante rimpianto: “…Picchì crisciti figli…/ Picchì non vi firmati…/ Parsi aieri ca vidìa tracuddari / li fidaledda quatrittati biancu e azzolu, / li panaredda ccu dintra viscotta e ciucculattu…” in “Picchì crisciti”, dove emerge, straripante, la malinconia dell’Autrice per l’inesorabile decorrere del tempo col conseguente procedere dell’età in una dimensione temporale (“…tutto scorre…”, scriveva Eraclito) che vivifica le gioie del passato a cui la tenerezza del ricordo imprime una patina di dolorosa rimembranza fomentando nel sensibile animo di lei che sta a pensarci una struggente accoratezza difficile da obliterare.
E l’inno alle meraviglie della terra, madre carismatica e sincera ispiratrice, le scuote il petto e la spinge a declamare: “O mari o mari…”, carme dove l’entusiasmo attonito della poetessa trabocca dinanzi alla gioia della vista di tanta bellezza per poi ricadere nella abituale mestizia che a tratti la connota; come in ” Comu fogli a lu ventu…” o come in “Chiovi…” o come ancora in “Iu nun penzu cchiu”, oppure come in “Arrubbari lu tempu” e come in tante altre…
In esse esternazioni il ricorso alla madre terra siciliana, principio mirifico della sua visione poetica, la terra che l’ha vista nascere, gioire e soffrire e che la vede realizzata nella sua dimensione umana e lirica, rappresenta il legame più saldo che la tiene avvinta al carisma della sua solarità isolana.
L’Autrice soffre al pensiero della violenza che straripa in essa, al pensiero degli omicidi che la insanguinano, dei continui naufragi di migranti che tentano di raggiungerla fra i mille pericoli di un mare tempestoso con la recondita speranza di trovarvi una vita migliore di quella lasciata nelle lontane contrade da cui provengono; e che invece, spessissimo, trovano la morte in mezzo ai suoi inesorabili flutti.
Ne soffre talmente che, metaforicamente, vorrebbe potersi inoculare nelle più riposte viscere della nostra Sicilia per lenirne il pathos con la propria comprensione e con le proprie coccole, al fine di assicurarle una benché minima speranza di redenzione dalle brutture da cui la vede afflitta; elegiaca immagine, questo suo metaforico voler “salvare” la propria isola, che dà contezza del grande amore ch’Ella nutre per essa. Sentimento che si riscontra anche nell’altra lirica dall’esplicativo titolo “Madre terra”.
Infatti, accanto al dolore di vederla tribolata da innumerevoli controversie, sito involontario di cocenti sciagure, permane la gioia che le proviene dall’esserne figlia devota, sazia delle sue bellezze e grata per i pregressi ricordi che questa terra le sa fornire.
E, per converso, dotata d’uno spirito libero, in altra lirica moralmente condanna quanti spendono la propria esistenza occupandosi solo di far denaro e vivere allegramente.
La sua estrema sensibilità scaturisce e trova il suo punto di tracimazione nell’esternazione poetica del suo prorompente flusso emotivo. Ciò la solleva e le dà quel conforto esistenziale che rappresenta il leitmotiv di tutta la sua ricerca introspettiva.
Dal coacervo di queste elegie emerge che la Neri Novi appartiene a quella categorìa di artisti che trasfondono l’esperienza acquisita in insegnamento. Ella appare una ineccepibile sacerdotessa del sentimento, una donna legata tantissimo ai ricordi d’infanzia ed alla casa avìta. Il suo accorato pensiero ritorna sovente alla madre ed al padre che ora non sono più e che per primi, col loro modo di essere, con la fermezza e la bontà dei propri costumi l’hanno istradata nei tortuosi meandri della vita inducendola ad affrontare con concretezza l’esistenza. Il suo angoscioso desiderio di tornare al passato, il suo cocente rimpianto del tempo che fu sono dei sinonimi che non lasciano mai il suo verso ridondante di profonde emozioni e calibrato e sostenuto da un idioma spontaneo e penetrante, il siciliano, scandito dal costante alternarsi dei suoi armonici “piedi” nutrito dai battiti regolari del suo sentimento.
Ma la Neri non è soltanto questo, il suo interesse umano, mediato dall’arte, si rivolge anche ad altri aspetti della comune sofferenza; ella considera con estrema comprensione anche chi langue privato della libertà ed offeso nella sua dignità di essere umano; ed il suo senso materno la induce, come s’é sopra detto, a sgomentarsi per la inesorabile rapidità con cui i figli crescono, per la lentezza con cui il dolore invece si propone e lungamente permane fustigando l’animo e per la fatalità che alligna e sovrasta l’inesorabile comune destino.
I suoi slanci lirici la inducono ad esaltazioni che solo la poesìa sa sublimare e gratificare; come quando si rivolge al sole, nella lirica “Prestami”…” e teneramente lo invoca chiedendogli di prestarle il suo calore al fine di poter scaldare il cuore sconsolato di chi ha perso l’amore per la strada.
Un alcunché di pascoliano aleggia a tratti nelle sue espressioni che vengono fuori da un vernacolo semplice ed allo stesso curato; così come, pure, in altri momenti, il lirismo di certe sue odi riecheggia il fumus che permea tutta l’opera di Proust (“Alla ricerca del tempo perduto”) con particolare riferimento ai testi “All’ombra delle fanciulle in fiore” e “I Guermantes”.
L’arte della poesìa, lo sappiamo tutti, quando l’afflato è sincero, consente di esternare i propri sentimenti con l’immediatezza e la purezza della sincerità, permettendo all’animo di elevarsi in un contesto subliminale dove le angosce, i patimenti e quant’altro, trasfusi in una dimensione lirica, vengono considerati con una maggiore comprensione e sopportabilità.
Il vasto pubblico che segue la Nostra rappresenta la “spalla” ottimale su cui appoggiare la sua irrefrenabile necessita di esternazione, l’instancabile suo fluido vitale che a tratti erompe nella infantile ricerca di un riscontro, di una partecipazione alla propria esistenziale necessità di un condivisibile rapporto umano.
Mi vien qui l’agio di riproporre quanto da me a suo tempo scritto a proposito di “Terra niura”; concetto che mi pare stigmatizzi la personalità umana ed artistica della Neri:
“…emergono (nelle poesìe) con chiarezza e si rafforzano i punti salienti della poetica dell’Autrice: del suo palesarsi, della interdipendenza dei temi trattati, dei ricordi riesumati, delle considerazioni espresse su concetti, sentimenti, modi di essere e sensazioni, su l’uomo e la sua indole naturale, sulle apparenze e le loro multiformi sfaccettature, sulla stoltezza, sul relativismo della vita con i suoi momenti e le sue fasi, sullo svolgersi delle vicende, sulle speranze, sui desideri, sugli obbiettivi ipotizzati, sulla determinazione indomita nel perseguirli, sulla dimensione sociale, sull’aggressività, sui rapporti con gli altri, sulla donna, sull’amore, sul sentimento, sulle difficoltà, sui mali, sui dolori, sui vizi, sulla viltà, sulle condizioni economiche e su quant’altro…”
D’Altronde bisogna pur convenire che quando in piena sincerità si è espresso, da parte di taluno, tutto ciò che si può esprimere sul conto di un personaggio, è difficile, per non dire impossibile, sceverare nuove elencazioni, nuovi accorgimenti, nuove individuazioni che connotino le profonde pieghe dell’animus dello stesso.
La drammaticità consapevolmente vissuta, accettata e sofferta ed il pathos che da essa inevitabilmente deriva forgiando l’animo ed irrobustendolo, rappresentano i prodromi più accreditati che fanno di Margherita Neri Novi quella sensibile colta artista che tutti conosciamo ed apprezziamo.
Giuseppe Maggiore