Cefalù (Pa) – Non è raro, per il turista o il forestiero che non conosca il paese o anche, se vogliamo, per chi lo conosca o lo abiti, e che avanzi a zonzo fra le vie e le viuzze che lo connotano con l’intento di scoprirne le molteplici innegabili peculiarità consistenti in luoghi inusitati, in scorci caratteristici, in usi, in particolari costumanze, in abitudini ed attitudini pertinenti ad una humanitas che rivive nello spirito le tradizioni dei passati gloriosi tempi e di quant’altro, non è raro, annotavo, che questa monade s’imbatta verso la fine del Corso Ruggero a ridosso della sacra Edicola dell’Ecce Homo (pregevole pezzo scultoreo degli ultimi anni del ‘700) in un “basso” commerciale, negozio, bottega che sia, a prima vista senza pretese di luci, di specchi, di scintillanti vetrine o d’altri fronzoli, ma locale stracolmo di originali manufatti, laborioso opificio di statuine, quadretti, formelle, a guisa di cuore, queste ultime, raffinate, pregne d’un variopinto ma soffuso colore rosa che sfuma i toni dell’arcobaleno e dell’iride, di molteplici forme, quadrate, rettangolari, a losanga, tutte presentanti leggende, massime, detti augurali, note rammemorative, citazioni di estrazione popolare, salaci, umoristiche, carche d’una filosofia apparentemente spicciola ma intrisa da una innegabile clamide di atavica saggezza, espressa con brio, con partecipazione, con liberale gaiezza, tendente il tutto alla manifestazione d’una espressione sentenziale e augurale nel contempo sempre improntata ad una notevole efficacia comunicativa.
L’antro di Dite, rischierebbe con molta sbrigativa superficialità qualcuno nella definizione del luogo, appellandolo con scherzosa prosopopea, attesa la consistente quantità d’oggetti, di ninnoli, di materiali vari, tutti d’arte, ivi raccolti ed ammassati?
“Multum in parvo”, dedurrebbe invece tal’un altro stigmatizzando con più profondità di pensiero, sia il contenente che il contenuto ed utilizzando una frase latina (pseudo latinorum d’eccezione) di pregevole effetto?
Questo è l’“antro”, luogo di lavoro, elettiva panacea, mnemonico rifugio di Anna Maria Micciché.
Chi è costei? Questa moderna Carneade ?
La conosciamo tutti e nel prosieguo ne accennerò con più dovizia.
Ognuno, per un proprio fisiologico processo vitale, credo si crei un ideale rifugio deputato ad assommare in sé tutti quegli ottimali requisiti atti ad ingenerare tranquillità ed interesse produttivo.
Eremo e punto d’incontro d’amicizie e di clientelare adunanza allo stesso tempo, così, la bottega, idealizzando un fantasmagorico iperuranio protettivo, insomma.
Spesso, infatti, al di là della destinazione del locale e della merce ivi raccolta, il luogo si presta piacevolmente ad incontri familiari, amiciziali, per congeniali vacue chiacchierate distensive sia con l’artista che col di lei marito, uomo di grande cultura e di piacevole eloquio (ed io sono uno dei massimi frequentatori del sito), per asettici (per me inculturali) commenti sulla politica, sulla letteratura, per dionisiache osservazioni sui passanti in generale ma in particolare su quelli di sesso femminile di appariscente sostanza, con valutazioni intese a declamarne forme e contenuti, o per sproloquiare su dicerie sui paesani, su avvenimenti presenti, passati e presunti futuri e su quant’altro lingua e fugaci pensieri partoriscano all’istante all’intelletto: così come, se vogliamo tentare un raffronto d’ inverecondo stampo (si parva licet componere magnis), un po’ s’è letto dei personaggi che erano adusi a frequentare il conterraneo cittadino Circolo, fiorente in epoca trascorsa, le cui passioni e caratteri sono stati ben delineati nel pregevole libro del castelbuonese Castelli “Ombellichi tenui” di fausta ricordanza.
Insomma, nel materiale esposto in vendita di aforismi ce n’è per tutti i gusti.
I detti riportati che adornano i manufatti, augurali o sentenziali che siano, vergati con una calligrafia ridondante contornata dai caratteristici svolazzi che richiamano il tempo in cui nelle scuole vigeva ancora un corso per il bello scrivere, inneggiano a genitori, a nonni, a fratelli, a sorelle, a zii, a nipoti, a cugini, a cognati e potrei continuare l’intrapresa forbita scaletta ad libitum.
Né sono esclusi i cani; e nemmeno i gatti, se il ricordo non mi falla.
Il tutto ha, comunque, una matrice comune: nasce dall’estro, dalla sensibilità, dalla cultura, dal buon gusto, e, non ultimo, dal sentimento (un profondo sentire sensibilizzato da un vissuto esperienziale di non poca rilevanza) di una ben conosciuta protagonista della pittura cefaludese, infaticabile operatrice d’arte, e del suo interland: Anna Maria Micciché, di cui in narrativa (qualche mio caro amico più che “in narrativa” annoterebbe “di che trattasi”)!
Si vuole fare un regalo ad un familiare, ad un parente, ad un amico? Da Anna non c’è che l’imbarazzo della scelta, c’é di tutto; e si è certi che il dono, originale ed artisticamente lavorato, troverà indubbiamente il consenso ed il gradimento del destinatario.
Ove non ci si voglia indirizzare ad una formella, ci si può benissimo dirottare su un piatto finemente istoriato raffigurante il panorama di Cefalù o le sue zone limitrofe; o, ancora, su un paesaggio o su una figura nata da pura fantasia e disegnata con semplice tratto stilistico per lo più allogabile alla corrente naif.
Non sono prodotti seriali che provengono da fabbriche o stampi, gli oggetti in esposizione; tranne i supporti di gesso, di legno o d’altri svariati materiali, ma esclusivamente sono il frutto creativo scaturito dalle abili mani di un’artista che ha saputo coniugare con esplicito senno la propria innata passione per l’arte con un fiorente commercio e, nel contempo, con una corretta vita privata interamente dedicata alla famiglia.
Una maestra d’arte e maestra di vita, la nostra Anna!
In un periodo storico, come il nostro, in cui assistiamo impotenti all’imperare del cattivo gusto (fortunatamente non sempre), dove i contorcimenti, ad esempio, diventano ballo, le voci arrochite o fiatate diventano canto, le pennellate di colore stese alla rinfusa sulla tela che rendono incomprensibile il dipinto diventano pittura, l’idioma classico inquinato da stranierismi (francese, inglese, tedesco e quant’altri) diventa letteratura, montaggi vorticosi ed inconsistenti diventano film nei quali gli inserti lessicali, didascalici, sono illeggibili per la loro brevissima tenuta in visione, periodo in cui il pressapochismo è di casa, ritornare alla semplicità delle linee in pittura, al concretizzarsi della forma nella scultura, ad un sereno e razionale dipanarsi delle immagini in un film, ad un puro eloquio nostrano, beh, sarebbe una condizione da incentivare a piene mani.
E non solo: teniamo presente che Anna Maria Micciché in Rosso (è bene citare anche ben chiaro il nome del marito, professore emerito di chiare teutoniche lettere, al fine di non lasciarlo nell’oscurità di un vile dimenticatoio. Personaggio venuto fuori da una prestigiosa cattedra per volontaria diserzione lavorativa in quel settore) è anche una fedele riproduttrice di quadri d’autore, che, per mero diletto, ripropone a se stessa prima che agli altri.
E non solo, ancora: è anche una pregevole ornitologa (interesse e tendenze che le vengono dalla operosità defunto padre). Si dedica alla cura degli animali con una dedizione, una sensibilità un attaccamento ed una competenza tali che non è esagerato definire i suoi sentimenti commoventi. Non c’è persona, ad esempio, che trovi per caso una colomba, un gabbiano, un gattino ferito od esanime che non ricorra a lei, come ad un pronto soccorso, sicura che l’animale verrà amorevolmente seguito e guarito; o, nel caso contrario, ove, cioè, malauguratamente le cure prodigate non avessero a sortire l’effetto desiderato, verrebbe degnamente sepolto con intuibile amarezza.
Come pittrice e miniaturista ha partecipato a delle mostre collettive traendone un sincero apprezzamento. Ha, anche, restaurato delle sacre statue con dei superlativi risultati.
I suoi colori prediletti?
Il rosso l’aranciato, il giallo, il verde, l’azzurro, l’indaco, il violetto. Tutti i barlumi del cosmo, insomma.
Una ancor giovane donna di tal fatta, moglie, madre e nonna, artista di indubbio sentire e fattiva quant’altre mai, trasuda energia da tutti i pori.
Lo spirito dell’arte, com’è risaputo, è esprimere se stessi senza reticenze od ambiguità attraverso creazioni prodotte ed il personale stile impiegato.
In fondo cos’è l’arte se non l’espressione più intima del proprio “io” esternata attraverso la proiezione di un proprio concettuale universo, inteso essenzialmente ad usum delphini, con l’abbandono cosciente d’una realtà spesso indigesta e con il tentativo di ascendere alle più alte vette dello spirito obliterando una materialità a volte scomoda?
E’ come interporre un velo fra noi ed il contingente, innalzando lo sguardo interiore verso una consistenza cosmica, ancestrale, intesa a lenire le possibili insoddisfazioni che la vita reale spesso non manca di elargire a piene mani a tutti.
Donna dal tratto semplice, amichevole, comunicativo, direi quasi elegiaco, Anna Maria.
Serena e comprensiva nel dialogo, elegante nella contrattazione dei suoi oggetti che spesso cede ad un corrispettivo di gran lunga inferiore al loro valore effettivo, affettuosa con la famiglia e con gli amici.
Nel suo negozio, nella sua bottega si respira un’aria serena e cordiale.
Lei, spesso, supportata da marito nella esplicazione dell’attività condotta, si assenta proprio per lavorare fisicamente alle terrecotte che poi esporrà in questo suo atelier.
Nel Dicembre del 2019 in occasione del Natale ferrarese è stata invitata in quella città dalla Delphi International, società esperta in eventi compositivi, per l’addobbo, con sfere colorate da lei appositamente forgiate, dell’albero di Natale di quella città.
Credo fermamente che le sue potenzialità umane e creative, esternate nell’arco della sua molteplice produzione lavorativa, siano dei documenti di presentazione inoppugnabili per la sua inclusione nel catalogo degli artisti più noti.
Pippo Maggiore