Palermo – Il Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino è la sede in cui si custodiscono 5000 manufatti, raccolti nel corso degli anni dal noto medico e dalla moglie Janne Vibaek entrambi antropologhi e cultori della storia e delle tradizioni popolari. Antonio Pasqualino è anche l’autore di uno studio dettagliato sulla costruzione di un pupo dove si specificano materiali e tecniche di questa complessa e particolare produzione. Mette in vista che ”la realizzazione di un pupo racchiude sette competenze specifiche ossia la costruzione dell’ossatura, della testa, pittura della testa, la lavorazione dei metalli, confezione delle vesti e montaggio di tutti gli elementi. Queste competenze possono essere riunite in un unico artigiano ossia il puparo che è il proprietario, il manovratore e la voce del suo teatro” 1.Nel suo saggio distingue la produzione palermitana rispetto alla catanese per alcune peculiarità costruttive come ad esempio, il ginocchio articolato, l’altezza e il peso ridotto che permette al manovratore di operare dai lati del palcoscenico. Inoltre descrive importanti nozioni tecniche come ad esempio, l’ossatura realizzata in faggio oppure abete, mentre la testa, più importante e rappresentativa, è realizzata con un legno più pregiato e resistente come ad esempio il cipresso, noce o limone. Proprio le teste spesso erano realizzate da scultori di fama come ad esempio gli esponenti della famiglia Bagnasco scultori attivi a Palermo XVIII e XIX secolo.
Il museo è un esempio virtuoso di gestione privata che grazie a delle donazioni periodicamente attiva delle campagne di restauro su alcuni manufatti appositamente scelti considerando il loro stato di conservazione. L’ultimo intervento finanziato ha previsto il recupero di un pupo palermitano in paggio, ossia privo di armatura, che raffigura una dama probabilmente utilizzata nelle rappresentazioni della corte nella storia dei Paladini di Francia. Non si hanno certezze sulla produzione o provenienza della Dama, inventariata D 191, ma analizzando alcune peculiarità tecniche si potrebbe ricondurre al mestiere di dei Canino, l’antica famiglia di abili e raffinati pupari a cui si attribuisce l’invenzione del pupo armato. La Dama mostra un fine intaglio dell’ossatura, delle mani e della testa peraltro rifinita con l’elaborata acconciatura a tuppo. Sull’ossatura, per creare le forme armoniche del corpo femminile, è posizionata l’imbottitura realizzata, realizzata con del capecchio (fibre di scarto) contenute da un calzino in maglia di produzione industriale. L’abito è un vero e proprio esempio di sartoria in miniatura di foggia ottocentesca, realizzato in seta e arricchito da pizzi rebrodé e perline in vetro. In fine con delle lamine in lega di rame son state realizzati gli accessori (cintura e la fibbia delle scarpe) lavorati a sbalzo con il classico martello a pinna.
Il restauro del manufatto in questione, rientra nell’ambito del polimaterico poiché, come già specificato, è realizzato dall’assemblamento di diversi materiali, quindi l’intervento deve avvalersi di specifiche competenze nei diversi settori. In fine l’intervento di restauro deve valutare la funzione scenica del pupo e il suo funzionamento meccanico, poiché il museo non è solo il “contenitore” dei manufatti, ma è il luogo dove ancora oggi quotidianamente si svolgono rappresentazioni teatrali.
Lo stato di conservazione della Dama era mediocre, infatti mostrava le caratteristiche morfologie di degrado derivati dall’uso teatrale, ossia tutti quei danni accidentali derivati dall’usura, quali ad esempio le abrasioni del legno, lacune, microlacune, scheggiature e tagli. Il supporto ligneo mostra anche segni di infestazione da insetti xilofagi probabilmente causata da tarli. I tessuti mostrano fori, scuciture, lacerazioni strappi, segni di foto-ossidazione e la depolimerizzazione che si riscontra anche nel pizzo rebrodé che rifinisce le maniche. Infine i metalli mostrano delle ossidazioni diffuse su tutta la superficie a contatto con l’aria.
La metodologia proposta in questo intervento di restauro è prevalentemente a carattere conservativo, ossia prevalentemente prevede l’arresto del degrado e il ripristino delle capacità meccaniche dei vari materiali, nonché il recupero della policromia con la rimozione delle sostanze estranee di deposito. L’intervento di restauro ha anche il compito di tutelare questi oggetti e la loro storia conservativa caratterizzata dall’uso scenico, dalle esigenze del teatro e dagli imprevisti di palcoscenico; infatti spesso i pupi sono stati adattati a nuovi copioni, a personaggi o al cambiamento delle gusto corrente e considerato il loro vissuto un valore culturale da tramandare, in sede di restauro si dovrà valutare scrupolosamente l’intervento di rimozione di una ridipintura, di un abito o di un attributo.
L’intervento ha previsto diverse operazioni, inizialmente il trattamento antitarlo con una sostanza a base di permetrina e successivamente lo smontaggio degli elementi rimovibili per permettere alcune operazioni. Dalla policromia sono state rimosse tutte quelle sostanze di deposito estranee mentre, in seguito ad una valutazione congiunta con la direzione dei lavori, si è mantenuta la ridipintura del volto poiché considerata gradevole e ormai identitaria. L’abito è stato consolidato ad ago per mezzo di filati in poliestere invisibili e aghi curvi da sutura. Dai metalli è stata rimossa l’ossidazione con bagni di sostanze complessanti. Tutte le operazioni di restauro, sulla base del minimo intervento, sono state realizzate con materiali adeguati che rispettino i parametri fondamentali del restauro quali ad esempio: la reversibilità, la compatibilità e la riconoscibilità, giacché la cultura del materiale si basa sulla tutela di tutti quei valori intangibili che vi sono affidati, permettendo la trasmissione dei valori culturali che sono la nostra identità.
Belinda Giambra
1 Estratto da La cultura materiale in Sicilia. Atti del I congresso Internazionale di studi antropologici siciliani (Palermo 12/15 gennaio 1978).