Santa Marina di Scanio venerata nell’antica Castanìa, oggi Castell’Umberto (ME)

Termini Imerese (PA) – L’antico casale di Santa Marina in Valdemone, per volere di re Ruggero (1031 circa – 1101), fu sede di un cenobio dell’ordine basiliano intitolato a Maria SS. Vergine di Mallimaco.

Lo storico siciliano Tommaso Fazello (1498-1570), nella sua voluminosa opera “De Rebus Siculis Decades Duae”, stampata a Palermo nel 1558 (ampliata e ritoccata nelle edizioni del 1560 e 1568), colloca la nascita del borgo di Castanìa nel 1322, con l’annessione dei Casali di Randacoli, Rasipullo e il sopraccitato casale di Santa Marina (probabilmente l’antica Scanio). Fautori di questo conglobamento fu la nobile famiglia Taranto.

Circa la vita e il culto di Santa Marina di Scanio, ce ne parla il Sac. Salvatore Miracola, nel suo “La Santità nella Diocesi di Patti”, nella sezione riguardante “I Santi Demenniti”, esattamente a pag. 50. Il testo di Don Miracola mi è stato di grande utilità per approfondire le mie ricerche intorno alla Santa di Scanio, la quale è venerata oltre a Termini Imerese in provincia di Palermo, anche nelle località peloritane di Castell’Umberto, e Cumìa (1). Riporto, quindi, per i miei affezionati lettori, quanto ha scritto il sacerdote nel 2015.

Sac. Salvatore Miracola

La Santità

nella

Diocesi di Patti

Santa Marina

(1036 – 20 luglio 1066)

[…] Il culto di una Santa siciliana di nome Marina nata in un oscuro borgo di nome Scanio è documentato nella Sicilia orientale a Castell’Umberto, l’antica Castania ed oggi Comune in provincia di Messina, ma anche a S. Marco D’Alunzio dove una volta vi era una chiesa dedicata alla Santa e oggi si vedono solo i ruderi. Non deve meravigliare la diffusione di questo culto nell’antica Val Demone, l’area in cui per tutto il medioevo si conservò il retaggio culturale e linguistico della grecità bizantina. Si tramanda a Castell’Umberto che l’antico casale di Santa Marina corrisponda al sito dell’antico borgo di Scanio.

Lo storico siciliano Tommaso Fazello nella sua “De Rebus Siculis Decades Duae” (Panormi 1558), colloca la nascita del borgo di Castania nel 1322, con l’annessione dei Casali di Randacoli, Rasipullo e Santa Marina, auspici, la nobile famiglia Taranto. Il termine casale indicava nel Medioevo dei borghi o abitati aperti non cinti da mura.

Il casale di Santa Marina, “forse l’antica Scanio” per volontà di re Ruggero, fu sede di un cenobio dell’ordine basiliano intitolato a Maria SS. Vergine di Mallimaco.

A proposito di questo cenobio oramai rudere, lo storiografo Francesco Nicotra così riporta:

«Santa Marina vergine. Nacque nel castelletto chiamato Scanio, della ricca ed illustre famiglia Pandarita. Toccata dalla pietà dei monaci basiliani, volle anche lei vestire l’abito del patriarca San Basilio; ed alla sua morte, dietro le peregrinazioni e le vicende di una santa vita, fu seppellita nella chiesa del monastero di Santa Maria di Mallimaco. Il di lei corpo fu poi traslato a Catania, per ordine dell’infante Martino, che con due diplomi ne ordinò la traslazione nel 1392. In onore di questa santa il casale Scanio venne detto Santa Marina» (83).

La tradizione riferisce che S. Marina nacque verso l’anno 1036, sotto il regno del re Ruggero. La Santa apparteneva alla nobile famiglia dei Pandariti, o Patariti, che abitava nel piccolo borgo di Scanio.

L’antico manoscritto greco che riporta le notizie storiche sulla vita di Santa Marina, conservato nel Monastero del SS. Salvatore dell’Ordine di S. Basilio in Messina e che all’inizio del XVII secolo venne pubblicato in latino nella raccolta delle vite dei Santi Siciliani dal Gesuita Ottavio Gaetani, narra che la Santa, fin dalla più tenera età, ricevette una profonda educazione cristiana dai genitori, e in particolare dalla devota madre, che assiduamente partecipava alle funzioni religiose del borgo, celebrate nella fastosa liturgia bizantina.

In quel periodo forte era ancora l’influsso della religione islamica, professata dai Saraceni, i quali scacciati dall’isola nel 1038 da Michele, imperatore d’Oriente, vi fecero ritorno pochi anni dopo, per poi essere definitivamente scacciati dai Normanni nel 1071.

La fanciulla, diversamente dalle ragazze nobili del tempo, non amava ricchi abiti, oziosità e vanità femminili; rivolgeva la sua attenzione solo ad elevati pensieri e a nobili atteggiamenti. La sua bellezza era un giardino chiuso, i cui tesori erano riservati solo a Dio. La docilità verso i genitori la rese capace di apprendere dalla madre anche l’arte della pittura tessile, mentre lo straordinario amore che nutriva per Cristo la portava ad essere sensibile verso i bisognosi a cui, all’occorrenza, elargiva tutto quanto aveva.

Una beatitudine, ascoltata dalla madre, era quella su cui si soffermava particolarmente la sua attenzione: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei Cieli”.

Avendo saputo, inoltre, che molti, abbandonati i loro beni, andavano alla città santa, Gerusalemme, per visitare e pregare nei luoghi santi della nascita e della passione di Nostro Signore Gesù Cristo, la giovane ragazza non pensava ad altro e pregava con la seguente preghiera:

“Orsù, o Signore Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio, e Spirito Santo, sola divinità, sola potenza, disponi che sia serbata intatta la mia verginità, spiega le tue forze contro il nemico che mi contrasta e di quel desiderio che io nutro nell’animo, di vedere ed adorare i salutiferi luoghi della tua nascita e della tua passione, non ritenere indegna la tua ancella, perché benedetto sei nei secoli.”.

Da queste sue parole possiamo comprendere quanto le fosse cara la verginità, e quanti ostacoli ha dovuto superare.

Giunta l’età di prendere marito, invano i genitori, nonostante la figlia fosse bellissima, di forme leggiadre e gentile d’animo, la invitarono a sceglierne uno, serio e di buona reputazione, preoccupati come erano per lei e per i loro beni che si sarebbero dispersi. La Santa, al contrario, confidò ai genitori che il Signore, in visione, l’aveva chiamata a servirlo nella verginità. I genitori, per quanto contrariati, cedettero alle parole della figlia e accolsero il volere divino.

Il demonio cercò in ogni modo di ostacolare la vocazione di Marina. A tal proposito, si racconta che un giorno esso con uno schiaffo stravolse orribilmente la bocca di una delle compagne che stava con la Santa. Le altre compagne, sentito il rumore dello schiaffo, pensarono che fosse stata la giovane Santa a perpetrare l’orribile misfatto. La Santa ne rimase addolorata e, passati cinque giorni in intensa preghiera, si recò nella casa della fanciulla sofferente e, dopo aver pregato su di essa e intimato al demonio di abbandonare la fanciulla, le toccò il volto ed essa ritornò sana come prima. Trascorsi quattro anni, vissuti in intensa attività spirituale, la Santa mostrò vivo desiderio di vestire l’abito religioso.

I genitori vollero assecondare il desiderio espresso dalla figlia e, poichè non vi erano ancora monasteri femminili, chiamarono un monaco di santa vita. Questi, dopo aver pregato su di lei e averle tagliato i capelli, le fece indossare l’abito monacale e mutò in Marino il nome con cui fino allora era stata chiamata. La fonte non ci riferisce quale fosse il precedente nome. La santa si ritirò quindi in luogo appartato, tutta immersa nella preghiera e nella contemplazione. Il Signore intanto le affidava il dono della guarigione e quanti a lei si rivolgevano per essere consolati venivano anche sanati nel corpo oltre che nello spirito.

Intanto, l’entusiasmo diffuso dai pellegrini di ritorno dalla Terra Santa, mise nel cuore della giovane di realizzare il desiderio tante volte pregato di partire in pellegrinaggio per l’amata terra santa.

Le difficoltà che si frapponevano a questo viaggio erano molte, ma tutte furono superate. Il Signore infatti le ispirò di travestirsi con abiti monacali maschili, per potere abbattere i pregiudizi e gli ostacoli che le provenivano dalla condizione femminile e dalla sua bellezza. Cambiato così il suo nome in Marino, si imbarcò, alla volta dei sospirati Luoghi Santi.

Il demonio, sempre all’erta per invidia di quell’anima pura, si fece sentire ancora una volta: durante la traversata i marinai, stupefatti dell’amabilità del carattere e della generosità del giovane monaco, arguirono che questi oltre ad appartenere sicuramente ad una nobile famiglia, fosse sicuramente in possesso di una cospicua riserva d’oro e progettarono di ucciderlo nottetempo, per impossessarsi dell’oro e poi gettarne il corpo fra i flutti del mare.

La Santa, conosciuto nel suo spirito il malvagio proposito dei marinai, invocò con fervida preghiera l’aiuto divino. E questo non si fece attendere: difatti, mentre il primo dei marinai si avvicinava al giovane monaco per ucciderlo, si morse la lingua in maniera così violenta che, fra urla di dolore, fuggì terrorizzato insieme a tutta la ciurma. Lo sciagurato marinaio, inoltre, per tutta la notte continuò, non solo, ad urlare, ma anche ad emettere voci prive di senso.

I marinai, riconoscendo nell’incidente del proprio compagno un segno divino, si recarono di buon mattino dal capitano della nave e lo misero al corrente dell’episodio notturno. Il capitano, preso il malcapitato, insieme alla ciurma si recò dalla Santa, che, dopo aver pregato su di lui, gli toccò la lingua risanandolo e invitò tutti a ringraziare e pregare Dio. Approdata la nave a Tripoli di Siria, l’equipaggio riferì l’accaduto al Vescovo del luogo, che fece venire alla sua presenza la Santa. Ella svelò al Vescovo la sua vera identità e i vari episodi che avevano segnato la sua vita di fede fin dalla sua tenera età e come, per divina ispirazione, si era vestita da monaco per realizzare il santo desiderio di potersi recare pellegrina in Terra Santa.

Il Vescovo ospitò la santa nella sua diocesi per una settimana durante la quale la ammaestrò nella conoscenza delle divine cose. Nel congedarla le predisse che sarebbe andata a Gerusalemme per due volte e infine sarebbe definitivamente ritornata nella sua patria.

Rafforzata dalla preghiera e dall’istruzione del Vescovo, la Santa riprese il cammino e, giunta a Gerusalemme, si recò al Santo Sepolcro e presso gli altri luoghi segnati dalla presenza di Gesù durante la sua vita terrena. Quindi risalì il fiume Giordano e lì ebbe modo di realizzare l’altro suo desiderio di rimanere in uno dei tanti monasteri che sorgevano in quei luoghi. Ivi rimase servendo amorevolmente i fratelli monaci.

Dopo tre anni manifestò al superiore il desiderio di ritornare in patria per vedere i suoi genitori, ormai avanti negli anni, prima che questi morissero. Ricevuta la benedizione, la Santa partì per il villaggio natio, dove trovò i suoi genitori ormai morti.

Si fermò nella sua Scanio per alcuni mesi, e, dopo non molto tempo, ripartì per la seconda volta per Gerusalemme e ritornò nel suo amato monastero.

Trascorsi cinque anni, la Santa confidò al superiore del monastero la predizione del Vescovo di Tripoli. Il superiore, ascoltatala, invitò la Santa a lasciare il monastero e ritornare nella sua patria. Giunta in patria dopo sei mesi si ammalò e morì nel 1066 lasciando di sè una viva memoria di santità, non solo nei suoi compaesani, che la venerarono come Santa e nella chiesa del borgo le dedicarono l’altare, ma anche in tutti i cristiani del circondario.

La sua tomba divenne così meta di pellegrinaggi, poiché quanti a lei si rivolgevano, afflitti da diverse malattie o avversità, trovavano sollievo per la sua potente intercessione.

Santa Marina venne seppellita nel tempio della Santissima Vergine che sorgeva a Scanio, ma, in seguito ad una sua apparizione in sogno ad uno dei fedeli, in suo onore venne costruito un oratorio, nel quale furono portate le reliquie della Santa. Il luogo era oggetto di straordinaria venerazione e straordinari furono i miracoli in esso compiuti […]

(83) Francesco Nicotra così riporta in “Dizionario Illustrato dei Comuni Siciliani”, Palermo 1908.

Note:

Giuseppe Longo 2024, La chiesetta di Santa Maria “La Novissima” e la concessione dell’indulgenza plenaria settennale nell’ultima domenica di maggio, Giornale del Mediterraneo, 1 settembre.

Bibliografia e sitografia:

Tommaso Fazello, De rebus Siculis decades duae, nunc primum in lucem editae. His accessit totius operis index locupletissimus, Panormi, apud Ioannem Matthaeum Maidam, et Franciscum Carraram, 1558.

Ottavio Gaetani , Vite dei Santi di Sicilia da antichi documenti greci e latini, e per la maggior parte da codici MSS non ancora pubblicati, raccolti o scritti, compilati secondo la serie degli anni dell’era cristiana, e illustrati con osservazioni, voll. I e II, 1657.

Vito Amico, Dizionario topografico della Sicilia, tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino Di marzo, vol. I, Palermo, Tipografia di Pietro Morvillo, 1856, pp. 253-254.

Francesco Nicotra, Castell’Umberto, Palermo, Società editrice del dizionario illustrato dei Comuni siciliani, 1908.

Salvatore Miracola, La Santità nella Diocesi di Patti, 2015.

Giuseppe Longo 2024, La vita di Santa Marina di Scanio nelle agiografie – agiologie del XIV, XVII, XVIII e XX sec. Giornale del Mediterraneo, 18 settembre.

Foto di copertina: S. Marina. V. Nel cartiglio in alto si nota la scritta: “Cingulo castitatis restringe renes meos” (Cingi i miei fianchi con il cingolo di castità). Ph. Giovan Battista Anania.

Foto a corredo dell’articolo:

Ottavio Gaetani , Vite dei Santi di Sicilia, frontespizio.

Giuseppe Longo

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