Lungimiranza (racconto). Qui amant ipsi sibi somnia fingunt -Virgilio, bucoliche. (Gli innamorati si creano da sé i sogni)

Cefalù (Pa) – Un mio caro amico, che, purtroppo, adesso non c’é più, mezzo scrittore, mezzo regista e mezzo epicureo, come me d’altronde (e per questo siamo diventati sodali), quasi un alter ego della mia persona, suppergiù della mia stessa età, presentendo, chissà perché, una sua ipotetica immatura scomparsa (era un pessimista della più bell’acqua e solo questa nota non solo non ci accomunava, ma mi disorientava alquanto) e non volendo lasciare alla famiglia (moglie e figli) alcune sue carte, più diario che documenti, dove lui spartanamente descriveva certi tratti della sua vita e certe sue pruriginose avventure galanti, che per il suo buon nome e per lasciare un buon ricordo di sé era meglio che sottacesse (di bruciarle non ne aveva mai avuto l’animo), due settimane prima che effettivamente trapassasse, quasi una premonizione, mi inviò a mezzo di un comune fidato conoscente un suo fascicolo compreso in un faldone, pregandomi, con una lettera a parte, che poi io ho regolarmente smarrita, di tenerlo da conto in nome della nostra vecchia amicizia ed infiorando questa sua preghiera con le solite frasi di estrema stima nutrita da sempre nei miei riguardi; a che, dopo la sua dipartita ove essa avvenisse, io potessi individuarne quegli spunti che mi permettessero di trarne un racconto, una sceneggiatura, un libro, un articolo o che so io.

Inaspettatamente, così come le cose avvengono, questo mio caro amico passò a miglior vita ed io, in un certo senso, mi son sentito in obbligo di soddisfare la pressante richiesta del defunto.

Eppertanto, spulciando quelle carte con una certa curiosità ed interesse, valutando i vari testi che il faldone conteneva, facendo una cernita dei sunti e comparando alla morale comune quei passi che apparivano più interessanti e passibili di esternazione a terzi, senza fare nomi di persone o di luoghi ed aggiungendo qualche mia osservazione e sottraendo qualche altra cosa all’assunto, io ne ho tratto, ne ho dedotto, ne ho estrapolato, ne ho cavato una storia, che adesso qui di seguito vi riporto per adempiere a quanto commessomi, con buona pace dell’anima di questo mio sodale al quale auguro le sempiterne delizie del paradiso ove abbia ad esservi entrato.

*****

Bruna, con i capelli lievemente ricci, fluenti, certe volte in voluto disordine, arruffati, svolazzanti. Non alta. Formosa. Botticelliana, d’aspetto. Quando ti guarda e ti saluta un aperto sorriso le increspa le labbra: alla “Gioconda”. Sorriso grazioso. Coinvolgente. Cordiale. Malizioso. Foriera di mille sottaciute promesse: naturalmente solo ipotizzate e, comunque, mai mantenute, se non virtualmente. Non si è mai vista con i jeans, per convinta ragionata scelta: anzi, al contrario, porta gonne, a volte mini, a volte più lunghe che le scendono sin sotto il ginocchio, spesso aderenti, da cui fuoriescono le tornite gambe fasciate di vistose calze a rete. Si trucca quel tanto che basti a sottolineare i suoi freschi tratti di donna non più giovanissima, si, ma estremamente piacente. Ancor oggi è molto attraente e sa di esserlo.

Una donna intrisa di cultura e di passioni diverse.

La conosceva da tempo; l’aveva osservata per la strada tante volte. Sapeva che era maritata, che aveva dei figli e che indulgeva nel sociale; e spesso si era soffermato a pensarla, lui che aveva alle spalle una moglie che non lo assecondava come avrebbe voluto. Ma trovatemi uno che sia coniugalmente felice!

Si può dire che in passato non si erano mai parlati.

Poi, un bel giorno, si erano trovati ad una mostra e là erano stati presentati da qualcuno.

-… Non le sembra inusuale?…- gli aveva chiesto lei, mentre assieme osservavano un dipinto che mostrava una coppia, entrambe le figure di spalle e distaccate, l’uomo a destra e la donna a sinistra, di fronte ad un mare incapricciato che riempiva lo sfondo.

Lui aveva scrutato il quadro con malcelato interesse.

– …Cosa?…- aveva chiesto.

-…Questa disposizione dei personaggi nella scenografia ambientale…E poi perché di spalle e separati?…- aveva notato lei.

-…Forse l’autore ha voluto sottolineare l’incomprensione fra i due di fronte alla realtà della vita…Il mare increspato può dare il senso della difficoltà esistenziale…- ipotizzò lui.

-…Si, anche a me pare così…- assentì lei – In fondo ogni autore è il vero depositario della motivazione che lo spinge a dipingere, a scrivere, a scolpire, al realizzare insomma, e a motivare come meglio crede e sente la sua scelta del soggetto…Tutto proviene dal sentimento che lo anima nel momento creativo…Le interpretazioni che ognuno può dare lasciano il tempo che trovano. Si avvicinano o meno all’entità culturale dell’artista, ma, spesso, si rivelano fuorvianti e fallaci…-

– Ben detto…- aveva osservato lui; ed entrambi erano trasmigrati a considerare un’altra opera.

Così la loro conoscenza era andata avanti, di mostra in mostra, di manifestazione in manifestazione, di convegno in convegno (entrambi tendevano allo scibile, all’arte ed ai suoi derivati ed entrambi nutrivano una sensibilità non comune, seppure forgiata dalle loro personali realtà sociali e familiari).

Da quel giorno, prima spontaneamente e poi per abitudine, si erano salutati quando s’incontravano. Era lei ad indirizzargli il saluto, per quanto con un certo imbarazzo latente: avanzava come se non si fosse accorta di lui; poi, all’ultimo momento, quando s’incrociavano, gli rivolgeva improvvisamente lo sguardo ed il solito sorriso di convenienza e pronunziava il rituale “buongiorno” o la “buonasera”.

Lui rispondeva.

La cosa era andata avanti così per molto tempo e fra i due si era creata quella specie di amistà che proviene dalla cortesìa, ma che, in ogni caso, presuppone una certa simpatìa, seppure allo stato embrionale.

Eppure c’era una consistente distanza d’età fra loro: due generazioni a confronto. In quanto allo spirito, credo che l’uno valesse l’altra; perché non ritengo che lo spirito invecchi mai: accasciare si può, ma non invecchiare.

La bellezza, la freschezza dei sentimenti e dei desideri sono in ognuno di noi e non vengono in effetti mai scalfiti dal tempo. Cambia il corpo, non l’anima. Certo, la maggiore esperienza abbacchia tante illusioni; ma la speranza, elemento catalizzatore insostituibile, permane e plasma ogni carattere.

Se ad un uomo di ottant’anni si desse un corpo di venti, non ci sarebbe bisogno, credo, di ringiovanirgli pure il sentimento: egli non sarebbe dissimile, nell’animo, da qualsiasi altro giovane. Ecco tutto. Purtroppo, però, ognuno è visto attraverso la propria fisicità, quasi essa assurga a specchio verace del proprio “ego”. Così avviene che uno si trovi vecchio di fuori senza esserlo affatto di dentro e si vede relegato all’emarginazione sentimentale, propria della sopravvenuta fustigata dimensione senile, mentr’egli, nello spirito, si sente quello di sempre, con la stessa indole, gli stessi impulsi, gli stessi desideri di quando aveva vent’anni e vorrebbe che il mondo esterno lo vedesse in quella perduta dimensione e lo considerasse di conseguenza.

Ma è umano che così non avvenga.

Qualche tempo era trascorso.

Bianca (il nome l’aveva appreso ancor prima del loro conoscersi da un amico) era nel pieno rigoglio della sua attività e della sua prestanza fisica. Era sempre in continua e frenetica polluzione culturale. Quando la si incontrava per la strada la si vedeva sempre attorniata da persone diverse. Raramente ella si accompagnava al marito, impegnato in tutt’altra direzione; il che induceva a supporre che l’afflato coniugale in loro difettasse un po’ per qualche recondito motivo. O forse, lei, aveva un carattere particolarmente introverso, insoddisfatto, incontentabile, dominante comunque, e spendesse nei molteplici contratti impegni quell’energia che la compensasse di qualche eventuale carenza affettiva.

Il rapporto con lui si era sempre limitato al saluto ed a qualche battuta spesa passando od in qualche valutazione quando s’incontravano nelle ricorrenti cerimonie ufficiali. Niente di più. Egli s’era abituato a darle del “tu”, mentre lei continuava a dargli del “lei”.

Poi si erano persi di vista per una intera stagione.

All’imbrunire del tempo (licenza poetica che vuole delineare l’avvento dell’autunno) ebbero modo di rivedersi come sempre, mentr’egli passeggiava con una sua conoscente in là con gli anni, ma con assurde pretese giovanili nell’abbigliamento e nel trucco.

Sia che fosse intristito dalla sua solitudine interiore, sia che i suoi impegni lo prostrassero o che fosse distratto dai ricordi di un passato prossimo trascorso al mare, lui non fece tanto caso a lei; e parve che neanche Bianca ne facesse a lui. Si erano incrociati ed ognuno aveva proseguito diritto per la propria strada, senza voltare il naso. Sicuramente interessato, ognuno, alle proprie mene.

Poi, da lì a qualche giorno, una sera umida di Novembre, si erano rincontrati, da soli.

Ella avanzava verso di lui, ma fece le viste di non accorgersene. Senza sapere perché, lui ci rimase male (non c’é peggio, per fare scattare la molla della curiosità e dell’amor proprio risentito, che il vedersi ignorati da chi ci si sarebbe aspettati di non esserlo); pensieroso, percorse il tratto di strada che era solito fare e tornò, poi, indietro con la recondita speranza di riimbattersi in lei ed acclarare, dal ripetersi o meno dell’ipotizzata disattenzione, se ciò fosse dipeso da un fattore casuale o voluto.

E la riincontrò, sempre sola.

Lei procedeva guardando ancora ostentatamente fisso dinanzi a sé: quasi un automa.

Insofferente di aspettare l’ipotetico riproporsi dell’indifferenza o, forse, temendola, quando s’incrociarono nuovamente istintivamente lui la bloccò.

-…Bianca!…- celiò, facendo seguire una battuta intesa a soffocare la propria emozione -…Non mi saluti nemmeno! Che ti ho fatto?…-

Egli si sarebbe aspettato un sorriso meravigliato ed una frase di ritorno del tipo “…Ah.. mi scusi…non me ne ero neanche accorta….ecc…ecc…”. E, invece, niente di tutto questo. Ella rivolse su di lui lo sguardo interrogativo più severo, gelando il suo animo; come se a lei fosse dovuta una qualsiasi spiegazione. Poi, imprevedibilmente:

-…Perché, non lo sai? – gli rispose, sempre guardandolo in quella maniera inusuale, adoperando il “tu” che mai prima aveva usato e rimanendo a fissarlo come a pretendere che si giustificasse.

Lui fu colpito dalla improvvisa reazione della donna alla sua battuta.

-…Forse perché l’altro giorno sono stato io a non salutarti?…- azzardò, mentre un particolare orgasmo gli serrava la gola -…Ma tu ti dovevi pur essere accorta che non ero solo…no?…- si sorprese a spiegare con calore, quasi a giustificarsi, senza sapere nemmeno lui perché.

Bianca non gli rispose; ma continuò a guardarlo col muto e delizioso accento di rimprovero nello sguardo. Il labbro inferiore, leggermente proteso, rivelava il suo broncio: da donna puntigliosa, incontentabile, irrimediabilmente offesa.

Egli comprese che qualcosa doveva essere mutata in lei e ne fu piacevolmente turbato.

Bianca, dal canto suo, riprese, inaspettatamente, a parlare. Ciò che disse lo pronunziò tutto d’un fiato, quasi temesse di scordarsi qualche parola, come se si fosse voluta liberare da un magma interiore lungamente rimuginato che adesso non stava più nel suo contenitore e che aveva urgenza di esteriorizzarsi.

-…Ho bisogno di parlarti…- disse, insistendo imperiosamente sul “tu”.

-…Che hai da dirmi?…- curiosò lui, ostentando un’indifferenza che era ben lungi dal provare ed ignorando il riproporsi del modo confidenziale con cui veniva trattato, del quale, anzi, intimamente si compiacque.

– E’ importante! – raffermò lei.

– Certo, dì pure – consentì lui.

-…Veramente…non mi sembra adatto, qui…- obiettò Bianca.

– Perché?…- s’informò lui. Lei parve riflettere.

-…Ma…non so…Chi passa e ci vede, chissà cosa potrebbe pensare…-

– Ma che vuoi che pensi! Siamo due che stanno parlando sulla pubblica via…Che male c’é?… E poi, chi se ne frega? – s’interruppe e la fissò con intenzione per un attimo, quasi a volerne carpire il pensiero; poi continuò, come a volersi rassicurare -…Non è così?…Non la pensi come me?…eh?…-

-…Si, certo…- assentì lei.

Un intimo moto di sollievo lo colse.

– E, allora, di che ti preoccupi?…-

– No, non mi preoccupo di niente…ma…-

– Ma?… –

-…Il fatto è che preferisco parlarti altrove…-

– Come vuoi…Dove andiamo?…Dillo tu…-

Lei rimase per alcuni attimi pensierosa.

– Ho capito – tagliò corto lui – Andiamo nella mia macchina … ti va?…-

-…Si, certo, mi va…-

Egli le indicò dov’era posteggiata e la indusse ad andarvi da sola e ad aspettarlo là; lui sarebbe arrivato subito dopo: il tempo di andare a recuperare le chiavi.

Bianca pareva caduta in trance: l’emozione dell’imprevisto accaduto l’aveva frastornata; ma si contenne e si allontanò nella direzione indicata, rompendo ogni ulteriore indugio.

Lui, da parte sua, fece come aveva detto: si avviò rapidamente al bar di fronte gestito da un suo amico e riprese la sua capace borsa che aveva lasciato in deposito; scansò con decisione due o tre altri amici che stavano per bloccarlo e raggiunse Bianca nel luogo convenuto.

Ella passeggiava lentamente, avanti ed indietro, accanto alla vettura che aveva individuato: segno inequivocabile che la conosceva bene, pensò lui e dischiuse lo sportello dal lato di lei.

– Sali! – la invitò. Poi aprì il suo ed entrò nell’abitacolo.

Il tempo s’era messo al brutto. Era cominciato a piovere: una pioggerellina leggera, ma incessante e fastidiosa.

La macchina si staccò dal marciapiede e s’inoltrò e si confuse nella striata circolazione vespertina.

Bianca continuava a rimanere taciturna, fissando, oltre il parabrezza, la strada dinanzi a sé.

Imitandola, non disse niente neanche lui per alcuni lunghi secondi.

Poi la vettura svoltò decisamente in una stradina laterale che conduceva alla periferia.

Bianca si scosse, come tornando alla realtà.

– …Dove andiamo?…- chiese, rivolgendoglisi, ma senza guardarlo direttamente.

– In qualche posto qui…appena fuori paese…- lui rispose. Poi, i loro occhi s’incrociarono per la frazione di un istante, ma ritornarono subito nelle rispettive precedenti direzioni.

Dopo altri lunghi secondi del più sconfinato silenzio, rotto semplicemente dal ticchettìo dei tergicristalli che ripulivano ad intermittenza il piano del vetro, lui le parlò.

– Qual’é, dunque, il problema?…- chiese.

– Non c’é nessun problema – rispose Bianca, compunta.

-…E, allora?…-

– Non abbiamo mai parlato… prima…-

– E’ per questo che siamo qui?…-

Lei parve cercare un pensiero nel vuoto dell’oscurità esterna.

-…Non lo so…- rispose dubbiosa.

-…C’entra qualcosa col fatto che mi hai dato del “tu”?…- la scandagliò lui.

– Vorresti che continuassi a darti del “lei”?…-

-…No…no…non è questo…sono lieto che tu l’abbia fatto. Ma tale passaggio mi fà intuire che qualcosa è cambiato in te…Non è così?…-

-…Si…forse…-

Ella si passò una mano sul petto in un lieve massaggio, come a tentare di lenire un tumulto.

-…Ho un marasma, qui dentro… – proruppe -… che a volte mi pare di scoppiare…- Poi lo fissò decisamente e lui percepì il tepore di quello sguardo.

-…Perché non mi hai mai detto niente?…- continuò, quasi accoratamente; e poi, come riprendendosi -…Oh…no,no, non rispondere; mi diresti una bugìa! Cominceresti a fare lo gnorri e a dirmi che non sai di che parlo…-

-…Infatti… – ammise lui.

-…Non dire altro, ti prego…- implorò lei – …ascoltami. Voglio essere io a parlare, ora che ho cominciato…- parve fare uno sforzo come a costringersi a continuare -…Io…io mi vorrei mettere con te!…-

Malgrado tutto egli ebbe un tuffo al cuore. Non si aspettava tanto. Tuttavia volle esser certo di ciò che aveva recepito.

-…Come…con me?…-

– Hai capito benissimo! –

-…Ma se ho il doppio della tua età!…-

– E che significa?…- si accalorò Bianca – Ci sono esempi illustri, e non sto qui a citarli, di ragazze che scelgono partners maturi…Che male c’é?…Anzi!…Sono le unioni più riuscite, che io sappia…-

– Si…ma le nostre famiglie?…-

-…La facciata ufficiale deve restare…-

-…Si, ma che avvenire può avere una coppia del genere?…A me sembrerebbe anomala…Che ti potrei dare io…che mi potresti dare tu?…-

– Calore!, Solo calore! Quello che manca nella tua vita e nella mia!…-

Lui la fissò per qualche secondo; poi le parlò come potrebbe parlare un padre alla figlia.

– Ascoltami bene: tu hai bisogno di un uomo della tua età…un uomo che comprenda il tuo tempo, il tuo modo di vivere, i tuoi interessi…E’ così che la devi vedere…-

– Perché, tu non potresti comprendermi? Non potresti darmi tutto questo?…-

– Si, si che potrei, ma non sarebbe lo stesso. Per quanto non mi senta una cariatide, ho sempre il doppio della tua età, te lo ripeto. La mia mentalità, il mio carattere,il mio modo di essere sono già assodati…non sono più duttili…-

– Ecco: il doppio! – sbottò lei con dispetto – Con questa parola hai detto tutto! Il solito discorso di chi non si vuole prendere delle responsabilità! Dì, piuttosto, che non ti piaccio, che non sono il tuo tipo, che non hai fiducia in me, che mi ritieni una ragazzina e non una donna. Io so quello che dico, perché lo sento e ne sono sicura!…-

-…Ma perché non ragioni?…Che posso darti, io, di più di un tuo coetaneo?…-

-…L’esperienza, la saggezza, una maggiore comprensione protettiva…-

-…E tu credi seriamente che tutto ciò fà l’amore?…-

– Non solo, ma che lo alimenta, anzi!…-

-…Lo pensi veramente?…-

– Certo. Se no non parlerei…-

– Mi sa che tu hai un po’ il complesso del padre…se non lo hai lo cerchi…-

…E, se anche fosse?… Non mio hai parlato come un padre poco fa? Come un padre parlerebbe alla figlia?…–

Rimase un attimo assorta , come a cercare più efficaci parole che rendessero appieno il significato di ciò che aveva in animo da esternare. Poi riprese a parlare, estemporaneamente, senza calcolo, seguendo il suo stato d’animo del momento:

-…Io mi rendo conto del perché tu non mi abbia mai detto niente…Si, lo comprendo, non ti potevi esporre: come ci saresti rimasto dinanzi ad un mio rifiuto? Dovevi pur salvaguardare la tua posizione di uomo maturo, assennato…no…non mi interrompere, ti prego….Ma io, d’altro canto, che potevo sapere dei tuoi più intimi pensieri?…Potevo supporli, questo è vero. Ma, a mia volta, potevo anche sbagliarmi sulle tue intenzioni…Che non ti sono indifferente me n’ero accorta da come mi guardavi. Gli occhi possono dire tutto quando vogliono; ma, in fondo, chi me ne dava la certezza?…Anch’io ho la mia dignità da difendere, il mio amor proprio e ci rimarrei male, molto male, di fronte ad un tuo deciso diniego. Perciò non te ne ho parlato prima. Oggi, non so come, forse sei stato tu a spingermi con quella battuta “…che ti ho fatto?…” quando ci siamo incontrati, ho capito, in un lampo, che aspettare ancora sarebbe stato tutto tempo perso: mesi, giorni, ore, attimi sottratti alla vita. E così ho deciso di concludere il mio silenzio tentando di interrompere il tuo…-

– Ah, perché tu dai per scontato che la mia risposta è si?!…- disse lui in un ennesimo tentativo di provare ancora il sentimento di lei.

-…Perché, debbo capire che è no?…- indagò Bianca.

Lui parve concentrarsi sulla guida e si astrasse dalla realtà contingente. Lei lo scrutò nel buio dell’abitacolo dentro cui si proiettavano di sfuggita gli schiaffi delle luci delle altre vetture che si incrociavano, mentre il mezzo procedeva per una strada di campagna stretta e tortuosa che ascendeva la collina; poi, dopo qualche istante, lei tornò alla carica con un tono di voce più melato.

-…Allora…non ti interesso davvero?…- scandagliò, osservandolo nella penombra con occhi lucenti.

Lui continuò a guidare senza rispondere, fissando la strada dinanzi a sé. Poi i loro occhi s’incontrarono. All’unisono. Fu un gesto estemporaneo, impremeditato. Istintivo. E lui le prese la mano e la portò dolcemente alle labbra baciandone il palmo. Ella lasciò fare, remissiva, molto disponibile, morbida: si rilassò e sorrise. Poi egli spostò la mano di lei sul proprio petto e l’appoggiò sul lato del cuore introducendola sotto la camicia.

-…Senti come batte…- le disse -…Batte per te…-

Ancora Bianca lasciò fare. Il palmo di lei si mosse lentamente e carezzò i peli di lui. Egli percepiva il tepore gradevolissimo che emanava da quell’intimo contatto. E rimasero così per alcuni lunghi istanti.

A sua volta, dolcemente, ella serrò quella di lui e la costrinse sul suo seno, anche lei immettendola sotto la falda della camicetta, premendovela. Poi lo guardò come aveva fatto prima e sorrise ancora.

-…Senti il mio…come batte…- fiatò.

La vettura, adesso, aveva imboccato un viale fiancheggiato da due filari di annosi cipressi che portava ad un pianoro erboso che si stagliava contro un cielo plumbeo.

Giuseppe Maggiore

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