Cefalù (Pa) – Mi riferisco al testo “Ecce Homo”, più propriamente concernente l’esaltazione del prezioso simulacro e del suo entroterra culturale custodito in un sacello posto al termine del Corso Ruggero in Cefalù, testo recentemente dato alle stampe, incastonato in una elegante brochure con carta patinata, da Salvatore Carmelo Piazza Sberna, Maestro d’Arte nonché Diacono presso la Chiesa Madre in quel di Lascari.
L’opera è corredata da foto della statua, sapientemente scelte fra le più espressive, quasi a voler evidenziare l’essenza carismatica e dolente del Cristo in un suo momento di particolare doglianza.
Più propriamente avrei voluto intitolare il presente modesto mio intervento: “Ignoti vel ex inopinato apparentes de caelo supervenisse dicuntur” (Le persone sconosciute o che appaiono all’improvviso si dice che siano cadute dal cielo), frase di tertulliana memoria che mi dà l’agio di riferirmi all’Autore, prima da me completamente sconosciuto ed ora improvvisamente materializzatosi alla mia conoscenza; oppure “Cicero pro domo sua” (Cicerone in favore della sua casa), riferendomi specificatamente alla mia posizione di proprietario sia della statua che del sacello in discorso.
Ma ho preferito utilizzare un titolo neutro, “Pamphlet”, perché più indicativo e più consono alla specificità del trattato ed alla sua elegante impaginatura.
Come affermavo, non conoscevo l’Autore e, in un certo qual senso (come recita la frase latina superiormente espressa) m’è sembrato quasi caduto dal cielo per la sua improvvisa comparsa nel mio raggio culturale.
Ed è utile e doveroso asserire che il testo proposto dal Piazza, supportato dalla nenia liturgica redatta in puro antico vernacolo e dalla musica dallo Stesso composta assieme al musicologo Pasquale Presti, riluce d’un sapore carismatico che, pregno di mille significati ancestrali, s’adatta perfettamente all’annuale ricorrente tradizione che vuole la mia famiglia da più di trecento anni solerte ed impegnata, quasi un voto, a commemorare con addobbo, musica bandistica e quant’altro il venerato simulacro dell’Ecce Homo nell’ambito dei ripetuti riti pasquali.
Da quando, infatti, la statua è stata acquistata a Lipari alla fine del ‘700 da un mio avo, Nicolao Maggiore, commerciante, l’annuale tradizione, tramandata da padre in figlio, non è stata mai disattesa.
Scrivevo di getto, infatti, in un whatsApp inviato all’Autore a seguito di un’affrettata mia presa visione della sua opera sottopostami dalla cortesìa di Anna Maria Micciché, sensibile e fattiva artista, pittrice nonché creatrice di una multiforme oggettistica in ceramica, manufatti di pregio in buon numero apprezzati anche fuori territorio, alla quale in prima istanza il Piazza, non conoscendomi personalmente, si era rivolto in quanto, per cortese incarico da me conferitole, saputa curatrice del sacello, scrivevo, dicevo, ciò che qui riporto pressoché fedelmente perché ritengo che il pezzo trasmesso allora sia rispondente al mio odierno pensiero:
“… Una piccola notazione recensiva sul Suo testo e sulla Sua nenia musicale: li ho molto apprezzati entrambi. L’accorata musica accoppiata al poetico lessico, composizioni originali e di rara efficacia emotiva, rappresentano un coinvolgente unicum della passione cristologica. Che poi il dettato delle composizioni sia specificatamente riferito al simulacro in catene dell’Ecce Homo custodito nel sacello di Cefalù (cosa che particolarmente apprezzo e gradisco, data la pertinenza dello stesso alla mia famiglia) o a qualsivoglia altra sacrale statua ostensa in diversa collocazione non riveste eccessiva importanza: è un inno, il Suo, che promana da una fede indomita e cosciente, profondamente radicata e sentita, a quanto m’è dato di capire.
L’opera riproduce appieno il senso morale della Pasqua. A volerla accoppiare a delle immagini esplicative mi dà la visione di una eterogenea teoria di salmodianti frati in processione eucaristica (come nel film “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman), tutti ispirati e protesi verso la radiosa luce dell’anima.
In questo luminoso ancestrale cammino, in cui non è esclusa la spirituale metaforica flagellazione penitente, la nenia musicale assolve al compito di armonizzare l’assunto sacrale rendendo il concetto dell’Eterno trasposto nella sua vicenda umana più emblematico e traumatizzante, stigmatizzato dalla sedimentazione storiografica.
Ha fatto un buon lavoro, egregio Signor Piazza, lavoro che mi ha dato il piacere di conoscerLa artisticamente quale sensibile Autore estroso e pieno di personalità carismatica”.
Questo ho scritto e qui riportato.
In più al superiore dettato potrei aggiungere, e mi si voglia perdonare l’analessi, che la veste editoriale con cui il testo, corredato dalle molteplici foto (del simulacro e di scorci paesaggistici) e dalla musica, viene proposto è di una eleganza raffinata ed altamente gradevole.
Lode ne sia anche agli Artisti Salvo Sorci per la grafica ed a Pasquale Presti come coautore musicale.
Giuseppe Maggiore